Il governo, su intuizione dell’Inps, potrebbe cercare di ipotizzare una soluzione per favorire l’uscita anticipata dei lavoratori, senza gravare sulle casse statali. Ma in che modo?
La soluzione è offerta dalla modalità di pensione anticipata, con pagamento di quel che manca dei contributi attraverso un prestito della banca e mettendo il Tfr in garanzia. Una ipotesi alla quale il governo – sostengono i quotidiani – starebbe realmente lavorando pressato da più parti.
Nel dettaglio, il lavoratore comincerebbe ad incassare da subito un assegno ridotto per poi restituire quanto avuto in prestito a partire dal giorno in cui diventa effettivamente un pensionato, con assegno finalmente pieno, a tutti gli effetti. In questo schema il ruolo delle banche sarà cruciale e, aggiungiamo, ben coperto dalla garanzia del Tfr maturato, che rientra tra i beni ereditabili.
Non solo: un ruolo decisivo lo avrebbe anche lo Stato, pronto ad intervenire con sgravi fiscali sugli interessi per agevolare l’uscita dal lavoro di categorie sociali a reddito medio–basso. Ovvero, tutti quei dipendenti che, per effetto di alcune storture della riforma Fornero, spesso restano intrappolate in ufficio o in fabbrica senza potersene andare.
Vale infatti la pena ricordare – sottolineava il quotidiano Il Messaggero – che poter andare in pensione anticipata, la pensione lorda mensile non può essere inferiore a 2,8 volte l’assegno sociale, oggi pari a 448 euro. Dunque almeno 1.250 euro. Per ottenere invece l’assegno di vecchiaia, la previsione di pensione deve invece essere moltiplicata per una volta e mezzo quell’assegno: 670 euro. Livelli che potrebbero essere assicurati proprio con la formula del prestito previdenziale.